BLADE RUNNER



La carica filosofica di Blade Runner rende il film di Ridley Scott un manifesto di umanità che si interroga sul senso della morte, sul valore dell'esistenza e il peso della libertà nel mondo moderno.

 

Il film tratta numerosi temi, alcuni dei quali estremamente celati all’occhio dello spettatore medio, che richiedono, secondo l’opinione di chi scrive, più di una visione per essere compresi approfonditamente e, probabilmente, comunque non ancora in tutte le loro sfaccettature possibili.

La questione centrale in Blade Runner risulta comunque essere la seguente: “Che cosa significa essere umano?”; un problema, questo, affrontato innumerevoli volte all’interno del panorama filosofico moderno e antico.

Come è noto, Aristotele all’interno della “Politica” definiva l’uomo “un animale razionale e sociale”: il filosofo, infatti, specifica nel “De Anima”, un’opera appartenente agli scritti della “Fisica”, che l’uomo è l’unico animale ad essere dotato di “anima intellettiva”, che comprende anche le facoltà proprie delle anime appartenenti ai livelli inferiori, “vegetativa” e “sensitiva”. L’uomo è quindi l’unico animale ad essere dotato di razionalità. Tornando alla Politica, Aristotele afferma invece che l’uomo è portato per sua natura stessa a riunirsi con i suoi simili nella città; solo le bestie infatti, possono vivere isolate da tutto e tutti.

In Blade Runner i replicanti, proprio come nella concezione aristotelica, si riuniscono in gruppi e sono allo stesso modo dotati di razionalità, almeno quanto i loro costruttori; il problema sopraggiunge quando si pensa al fatto che per l’appunto essi non sono umani, bensì prodotti artificiali della razionalità umana. Si delinea quindi un paradosso: come è possibile che qualcosa di artificiale sia effettivamente vivo, ma soprattutto che pensi come un essere umano? Sembra quasi che si vada completamente a smentire, sotto questo punto di vista, la visione aristotelica.

 


I replicanti vorrebbero essere umani ad ogni costo, si aggrappano con tutta la loro forza al breve tempo che viene loro concesso, una vera e propria lotta per la vita  simboleggiata anche dal morboso ed ossessivo rapporto che essi hanno con le fotografie; queste hanno sicuramente una duplice utilità per gli androidi: in primo luogo li aiutano a conoscere meglio il comportamento degli umani, riuscendo quindi a “mimetizzarsi” più facilmente dai Blade Runner. In secondo luogo è doveroso specificare come i replicanti non siano dotati di ricordi propri; nella loro mente, infatti, vengono “impiantati” ricordi artificiali o che comunque appartenevano ad altri. La stessa “Rachael” (Sean Young), segretaria del “dott. Eldon Tyrell” (Joe Turkel), a causa dei suoi “falsi” ricordi è convinta di essere umana pur essendo una replicante.  La fotografia, in questo senso, rappresenta come gli androidi tentino di registrare più contenuti possibili, al fine di sentirsi più umani. Una questione, quella dei ricordi, ampiamente e maggiormente affrontata nel recentissimo seguito del film, “Blade Runner 2049”diretto da Denis Villeneuve, già regista di “Arrival”.

 

La Los Angeles che fa da sfondo alle vicende di Deckard è una città tremendamente cupa ed opprimente, avvolta dall’incessante coltre di pioggia acida  prodotta dall’ inquinamento; quasi una punizione autoinflitta dagli uomini a se stessi, facilmente paragonabile a quella che Dio infligge al genere umano nell’ Antico Testamento.

Ma i riferimenti biblici non terminano qui: in particolare questi vengono rivolti alla figura di “Roy Batty” (Rutger Hauer), leader del gruppo di replicanti a cui Deckard dà la caccia, nonché principale antagonista (o forse no? N.d.A.) della pellicola; questi infatti vede il suo creatore, il dott. Tyrell, come Dio, e durante lo scontro finale perfora la sua mano destra con un chiodo, un evidente richiamo alla figura di Gesù Cristo; infine, resosi conto della sua imminente fine, dopo aver pronunciato lo storico monologo “io ne ho viste di cose che voi umani non potreste immaginarvi…”, il replicante fa volare via dalle proprie mani una colomba, simbolo della religiosità cristiana e di purezza.


Roy Batty


Ed è proprio la purezza l’altra grande tematica, insieme all’umanità, ad essere trattata,: una tematica, questa, analizzabile ad un livello più profondo se viene presa in considerazione la versione Director’s cut del film; in tale versione ,infatti, è presente una scena in cui Deckard sogna un unicorno, da sempre considerato simbolo di grande purezza; un altro personaggio della pellicola, “Gaff” (Edward James Olmos), costruisce un origami rappresentante la creatura in questione ,che Deckard troverà solamente nella scena finale, poco prima di fuggire con Rachael; ciò suggerisce quindi allo spettatore, che il protagonista possa essere un replicante, in quanto ciò dimostrerebbe come Gaff sia a conoscenza del sogno e quindi si sarebbe insinuato in qualche modo all’interno dei ricordi di Deckard.

Forse proprio i replicanti rappresentano quella purezza ormai perduta dal genere umano, una purezza in contrasto con una L.A. orribilmente claustrofobica ed oscura ma anche terribilmente affascinante , una città diventata, tristemente, lo specchio di un’ umanità che di umano non sembra aver conservato alcunché; e forse il motivo per il quale i replicanti riescono infine a prevalere sulla concezione aristotelica di uomo, è dato dal fatto che essi risultino veramente essere “più umani degli umani”.

« … E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo,
come lacrime nella pioggia.
È tempo di morire… » -Roy Batty

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